Se si prova ad immaginare una rappresentazione dell’Antigone di Sofocle, viene quasi spontaneo il ritratto di un sipario che si apre sulla sala ampia di un teatro e il silenzio del pubblico, che col fiato sospeso attende l’inizio dello spettacolo.
Proprio per questo la versione dell’ “Antigone in cattedra” proposta dal Piccolo Teatro di Milano risulta rivoluzionaria nella sua innovazione: il tiranno Creonte diventa un professore, le sorelle Antigone ed Ismene sue alunne, mentre il popolo dei tebani è composto dagli spettatori, che, chiamati a partecipare alla lezione-spettacolo in prima persona, possono sperimentare l’opera in tutte le sue sfaccettature.
La difficoltà di questo esperimento artistico stava nel conciliare due ambienti completamente diversi quali la città di Tebe del 400 a. C. e la scuola moderna in un’unica narrazione che mantenesse il filo logico dell’originale. Purtroppo la dicotomia tra un tiranno, che può condannare a morte chiunque voglia, e un professore, che al massimo può fare interrogazioni a sorpresa e mettere note, era troppo grande e in alcuni momenti la storia si è andata a perdere completamente.
Ma non credo che questo sia stato un aspetto negativo riguardo agli attori, che invece sono stati eccelsi anche affrontando un prodotto così controverso. Credo sia semplicemente il risultato dell’enorme divario tra la società di allora e quella di oggi e la dimostrazione di quanto sia cambiata non solo la società, ma anche la quotidianità di ciascuno di noi, rendendo inconciliabile ogni paragone tra le due epoche.
Laura